Chiesa di San Sisto
Piacenza
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La chiesa (1499-1511 ca.) si deve all’architetto piacentino Alessio Tramello, poi autore di San Sepolcro e Santa Maria di Campagna che, agendo su preesistenze di gusto lombardo, introduce componenti bramantesche.
L’interno, lungo m. 65 e largo m. 35 circa, è a croce latina con tre navate e due transetti voltati a botte, dai tiburi ottagonali.
Ai capi del primo transetto vi sono due tempietti a croce greca (quello a sinistra, mausoleo di Antonietto Arcelli, già concluso nel 1513) ispirati forse dal sacello milanese di San Satiro del Bramante, con cinque cupolette e stucchi seicenteschi: quello a destra custodisce la pala Re Totila in ginocchio di fronte ai Santi Benedetto e Mauro (1585) del cremonese Gervasio Gatti. Colonne in granito su cui poggiano archi a tutto sesto separano la navata centrale, voltata a botte, dalle laterali voltate a catino con cinque campate.
La navata sinistra ospita, nella prima di quattro cappelle semicircolari, una pala seicentesca di Giuseppe Nuvolone già in San Tommaso e, nella campata antistante, affreschi del cremonese Antonio Campi (1570-1574), attivo anche nel catino della cappella seguente. In questa ha posto l’Annunciazione di Stefano Lambri (1619) un tempo al Carmine, nella terza cappella una tela con San Giovanni Battista di Alessandro Mazzola Bedoli (1587), nella quarta il Redentore tra le Sante Gertude e Margherita di Giambattista Tagliasacchi (1729).
Nella seconda cappella della navata destra è posta la preziosa Madonna col Bambino tra i Santi Girolamo e Pietro, pala commessa negli anni Trenta del XVI secolo dai Paveri a Sebastiano Novelli di Casale Monferrato, attivo poi a Castelsangiovanni. La cappella seguente, che ospita la Madonna e Santi di Camillo Procaccini (1610) dalla chiesa di San Tommaso, è preceduta da una volta affrescata da Antonio Campi. Del fratello Vincenzo, dopo il 1576, sono invece i Profeti nei pennacchi della quarta campata. Considerevoli sono pure i paliotti in scagliola settecenteschi che ornano alcuni altari e, tra le sculture, la Madonna lignea per la chiesa di San Fermo (a destra, entrando), scolpita nel 1698 dal valsesiano Giovanni Sceti.
Il secondo transetto, braccio trasversale della croce, reca nei pennacchi della cupola, impostata su tamburo con galleria a colonnine e archi a tutto sesto, busti di Dottori della Chiesa. L’abside sinistra accoglie il Mausoleo di Margherita d’Austria, iniziato nel 1587 su progetto di Simone Moschino e finito solo nel 1661, l’abside destra un altare del 1928, su disegno di Paolo Costermanelli, con il Martirio di Santa Barbara dipinto da Palma il Giovane (1598). Due cappelle di riassetto settecentesco affiancano il presbiterio: quella a sinistra, ora battistero, custodisce il Martirio di San Bartolomeo del cremonese Angelo Borroni (1740), quella a destra il Martirio di San Lorenzo del veneto Giovanni Battista Pittoni (1741), su altare coevo in marmi policromi di Angelo Durini.
Procedendo verso l’altare maggiore, ecco l’arco trionfale che ospita due tributi marmorei dello scultore piacentino Giacinto Fiorentini, voluti dall’abate e dai monaci di San Sisto nel 1617 e dedicati ai due personaggi più strettamente connessi alla storia dell’edificio.
Il primo, sul pilastro sinistro, celebra Margherita d’Austria. Il secondo, en pendant, è consacrato all’imperatrice Angilberga, fondatrice della chiesa e del monastero.
Il presbiterio, ampliato alla fine del XVI secolo, sostituisce l’armonioso spazio circolare voluto dal Tramello con uno più ampio a pianta rettangolare e volta decorata a cassettoni tra il 1515 e il 1517 da Bernardino Zacchetti, già collaboratore di Michelangelo nella Cappella Sistina. Al centro l’altare maggiore del 1698, opera del fonditore piacentino Giorgio Mazzocchi e di un ignoto lapicida, è in marmo nero scolpito e bronzo fuso e sovrasta un’urna del 1544 contenente le spoglie di San Sisto.
La presenza dei maestosi dipinti posti sulle pareti rientra in quel programma decorativo tardo cinquecentesco voluto dall’abate Fulgenzio Ferrari il quale commissionò a prestigiosi artisti, per lo più veneti, le tele raffiguranti San Benedetto che resuscita un fanciullo, il Martirio di San Fabiano (Paolo e Orazio Farinati, 1599) e il Martirio di Santa Martina (Leandro da Ponte, 1598). In seguito, padre Antonio da Piacenza proseguì l’opera del predecessore Ferrari, commissionando a Camillo Procaccini la Strage degli innocenti (1604 ca.) e il Martirio dei Santi Sisto e Lorenzo che, causa rinuncia dell’artista milanese, fu realizzato dal bergamasco Gian Paolo Cavagna nel 1603. E’ del 1660, invece, l’opera di Giovanni Francesco Romanelli raffigurante Gesù Cristo redentore con la Madonna e San Francesco.
Gli arredi in legno dorato che arricchiscono il poggiolo, la cantoria dell’organo Facchetti (1544 ca.), i dipinti sulle pareti laterali e più di tutti la copia del dipinto raffaellesco della Madonna Sistina sul fondo sono opera dello scultore Giovanni Sceti, chiamato dall’abate Prospero Tinti sul finire del XVII secolo per abbellire la zona presbiterale.
Lo straordinario coro ligneo a tarsie prospettiche è una delle opere cui bisogna guardare per individuare in città la presenza di un linguaggio declaratamente “moderno” entro il primo quarto del Cinquecento. Frutto di un lavoro collettivo diretto dai maestri parmensi Giovan Pietro Pambianchi e Bartolomeo Spinelli, fu iniziato nel 1514, data di consacrazione della chiesa che appare su uno dei dorsali, e concluso nel 1528.
Di fondamentale importanza è la Madonna Sistina di Raffello: la sua storia è iniziata nel 1512 con la committenza di papa Giulio II per onorare la memoria dello zio, papa Sisto IV della Rovere, durò 240 anni, fino al 1754, quando, per ripianare gli ingenti debiti che il monastero aveva contratto, fu ceduta ad Augusto III di Sassonia, inesausto collezionista di capolavori, e sostituita con quella che vediamo adesso, inserita nella grande cornice lignea opera dello scultore Giovanni Sceti, che qui lavorò sul finire del XVII secolo.